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A Siena il 1° Corso per l'abilitazione al Crosslinking PDF Stampa E-mail
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Il professor Aldo Caporossi ha presentato i risultati clinici del Cross-linking,
tecnica innovativa sviluppata a Siena per combattere il cheratocono.
Alle Scotte primo corso italiano per abilitare 100 oculisti provenienti da tutto il Paese.

Promettenti i risultati clinici della nuova tecnica oculistica sviluppata a Siena e che verrà presto condivisa con 100 specialisti di tutta Italia. Ancora una volta all’avanguardia, l’Oculistica senese, diretta dal professor Aldo Caporossi, ha organizzato il primo corso abilitante, rivolto agli oculisti di tutta Italia, per insegnare e quindi “abilitare” i professionisti ad operare con il Cross-linking, una metodica sviluppata dal professor Caporossi e dalla sua équipe formata dai dottori Stefano Baiocchi, Cosimo Mazzotta e Claudio Traversi, per intervenire sul cheratocono, una malattia degenerativa della cornea che colpisce i giovani tra i 12 e i 15 anni intaccando la struttura della cornea che si deforma, passando da una forma a sfera a una forma a bolla, e nella maggior parte dei casi si opacizza, rendendo necessario il trapianto.

“Il cheratocono – spiega Caporossi – rappresenta la maggior causa di trapianto di cornea in Italia e in Europa. Nel nostro Paese si contano più di 3.000 trapianti di cornea dipendenti da cheratocono.  Fino ad oggi non esisteva alcuna terapia in grado di   prevenire la progressione della malattia e la metodica messa a punto a Siena,  chiamata cross-linking, potrebbe fortemente ridurre la percentuale dei pazienti costretti all’intervento chirurgico”. Questa tecnica mira a creare un collante biologico grazie ad una sorgente luminosa, con l’azione combinata di una sostanza foto-sensibilizzante con l’irraggiamento mediante luce ultravioletta, per aumentare la resistenza della cornea. “La resistenza biomeccanica della cornea nel cheratocono – continua Caporossi – è ridotta del 50% rispetto alla cornea normale. La tecnica da noi utilizzata in via sperimentale, consente invece di bloccare, da 3 a 10 anni, la progressione della malattia con una sorta di congelamento del collagene stomale e il conseguente incremento della stabilità biomeccanica della cornea”. La tecnica, sviluppata nel 2004 e premiata dalla Società Oftalmologia Italiana come “migliore ricerca dell’anno 2004 in Oftalmologia in Italia”, ha un potenziale impatto socio-sanitario di grande rilievo e potrebbe consentire, qualora i risultati a lungo termine (oltre 5 anni) lo confermino, una riduzione della necessità di trapianti corneali, se applicata al cheratocono ancora in fase refrattiva o iniziale intorno al 50%.
Dal 2004, dopo approvazione da parte del Comitato Etico dell’Università di Siena, sono stati trattati 34 occhi di 33 pazienti affetti da cheratocono in fase evolutiva, di età compresa tra 14 e 39 anni. “Un solo paziente – illustra Caporossi – è stato trattato in entrambi gli occhi a distanza di 12 mesi dal primo occhio per manifesto peggioramento del cheratocono nell’occhio non trattato”. Dopo 2 anni di follow up è stata rilevata una riduzione media della curvatura corneale di due diottrie che, fino ad oggi, si è mantenuta stabile a partire dal sesto mese post trattamento. “Il risultato più importante – prosegue Caporossi – è stato quello della stabilizzazione della malattia in tutti i casi trattati ed un incremento della capacità visiva con occhiali, con aumento della simmetria e miglioramento del profilo corneale”.  Confrontando il miglioramento di circa 2 diottrie dell’occhio trattato con il peggioramento di 1,25 diottrie in media nell’occhio non trattato, appare evidente quanto l’effetto stabilizzante sia significativo dopo il cross-linking.
“L’esperienza acquisita a Siena con questa metodica – conclude Caporossi – insieme a studi sperimentali condotti a Dresda negli anni ‘90 e con i nostri risultati clinici, ci ha consentito di ideare un nuovo strumento per l’irradiazione ultravioletta, che consente di superare i limiti dei primi strumenti di questo tipo grazie all’omogeneità del fascio UVA e alla costanza di emissione su tutta l’area irradiata e per tutta la durata dell’irradiazione, nel rispetto dei parametri fisici di sicurezza dimostrati sperimentalmente”.

fonte: Azienda Ospedaliera Universitaria Senese

 
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